Immensa materna montagna

Yves Bergeret

Parle qui grimpe

Tratto da Carnet de la langue-espace.
Versione di Francesco Marotta.

Tendo il braccio sinistro
fino alla grotta dove nasce il vento.
Tendo il braccio destro fino al letto
dove mia madre mi ha partorito.
Serro le dita.
Mi tiro su, sulla parete.
Ne spingo via la notte.
Ne sciolgo i chiodi di sofferenza.
Mi arrampico.

Le altre montagne intorno si abbassano
e io salgo.

Le mie dita cercano i gradini opposti,
mi aggrappo e salgo.

La paura scompare.
Stringo le mie dita
sulla terra dalle lunghe gambe divaricate.

Fendo la roccia.
Divento più leggero.
Sento delle risate nella pietra.
In quelle risa mi dissolvo.
La mia parete è la porta del mondo,
la apro.

Immensa materna montagna
risonante e flessuosa,
bella come una campana di bronzo
che bacia l’oceano in ogni pietra,
io che salgo sono il battente
che picchia leggero sul suo concavo
ventre roccioso.
Mi arrampico,
apro la montagna che mi solleva.
Io e lei siamo il bordone
del coro di tutti gli uomini
che soffrono e lottano e cercano
il sonno se non la pace,
che cercano tregua sotto le stelle,
la nuca appoggiata sulla pietra
sull’appiglio che afferro
per ancorare nel vuoto dell’altura
la mia barca senza nome,

sull’appiglio che con la mano stringo
per dare slancio al mio corpo
sfibrato nelle fumarole.

*

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1 commento su “Immensa materna montagna”

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