Scuola di poesia

Massimo Sannelli

Le intemperanze saranno lette bene da chi ha orecchio: si tratta di cambi di intonazione, cioè di umore. Non c’è molto rigore, nemmeno nell’ortografia, e il lettore dovrà creare il suo ordine, liberamente, spezzando – si può fare – la serie dei frammenti. Dopo le parole in Rete, c’è stata una prima edizione sulla carta (Wizarts, 2010): qui è stata stravolta (tagliata e allungata), abbattendo – soprattutto – i suoi limiti interni. La scuola ha un corpo nuovo, forse più adulto ora.
     La coesione della docenza e della decenza ha portato alla nascita e alla chiusura della scuola nella Rete: per una violenta carità la scuola è apparsa, per una violenta carità ha abbandonato Internet. Per questa scuola ho perso il primo dei miei amici e il secondo dei miei maestri: il primo ha chiesto di non essere nominato nel «sottobosco», il secondo ha rinnegato il «capofila», perché non è più «oscuro».
     L’abbandonato abbandona anche loro, dopo anni. Nasce un’amicizia diversa, se amicizia deve essere: l’«amicizia stellare» della Gaia scienza. In realtà, l’abbandono del peso e dei ruoli è salutare. Le opere diventano un pretesto e l’amore una cosa troppo umana per essere vera.
(24 giugno 2009-24 giugno 2011)

 

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Massimo Sannelli, Scuola di poesia
Montecassiano (MC)
Vydia Edizioni D’Arte
“Licenze”, 2011

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Romanzo di formazione

 

Il Suo Messaggio vola
A Mani che non vedo –
Per il Suo amore – Dolci
Fratelli – giudicateMi –
con indulgenza – Voi

Emily Dickinson, poem 441

 

    

1
     Il primo documento non c’è più.
     Ho riscritto il testo fluido, che è stato incluso nella Rete [ora ne esco, come ne esce il libro, ora]. L’oggetto morbido non è diventato una pietra: l’ho solo delimitato, in un contenitore che parla ancora in volgare [e d’ora in poi, sempre]. E il libro evoca la prima forma, ma non la trasmette più allo stesso modo.
     Non si può simulare la spontaneità a distanza. Rifarla, parola per parola, è meglio. Volevo soprattutto questo. Così alcune lezioni sono irriconoscibili, qui: la Rete ne trattiene ancora un abbozzo, ma il libro permette una forma vera: lettere, che non sono lezioni, e note, simili ai normali frammenti. Il dialogo con i lettori è sempre implicito, e non cancellato. Volevo questo, era bello così.

 

    

2
     La fionda del testo colpisce nel tempo, anche dopo la morte di chi la tenne in mano. Quindi è un fatto di efficacia che dura. C’è sempre il problema collaterale della felicità: e gli altri si baciavano SOLO sulla bocca ma io Ti mangiavo ogni mattina e allora perché ero così triste? Lo dice David Maria Turoldo, in poesia, non io [e tutto è citato, perché tutto è maggiore]. Quante cose sappiamo facciamo diciamo, rispetto a chi si bacia SOLO sulla bocca: eppure qualcosa manca. Che cosa c’entra con la letteratura? Tutto. E una forma ti renderà felice?

 

    

3
     La scuola di poesia non insegna a scrivere poesie. Nessuno può insegnare a scrivere poesie. Questa è una mostra di paradossi sani e brutti idoli: insegna l’inizio e la fine, non la parte mediana – la scrittura – di cui il responsabile sei tu.  Nelle scritture in Rete rimane tutto: le conversazioni i complimenti le polemiche le domande e le risposte. Qui no. Non per censurare una parte, che qui è riassunta, e niente è nascosto; ma per trasformare un flusso disordinato in una collezione per il futuro. I nuovi lettori hanno il diritto di trovare pagine semplificate, non un delirio che conserva una parola una sillaba un vocativo, come reliquie. Basteranno le parti nude, quelle rimaste.

 

    

4
     Non tutta la poesia è la stessa poesia. Heidegger e Szondi e Blanchot si adattano bene ad Hölderlin e Rimbaud e Celan – i più citati. E Laforgue? e Apollinaire? di quale essere Anne Sexton sarebbe la «pastora»? di quale «conoscenza» sarebbe portatore Palazzeschi? O Sexton non è poeta o i critici non sono critici sufficienti a tutto. Infatti i livelli sono molti, compresenti, contemporanei, opposti. L’ignoranza non li mette a fuoco e non li divide. Non tutta la poesia è la stessa poesia; mentre la critica, anche grande, fa di tutta la poesia una sola poesia: non divide opere da opere, azioni da azioni, stili da stili.
     Il mondo del felice non è il mondo dell’infelice, secondo Wittgenstein (Tractatus logico-philosophicus, 6.43) e secondo l’evidenza. Neanche gli stili saranno simili. Saranno solo paragonabili, e ogni uomo avrà sempre la sua misura.  Così «l’ordinata selezione sul tema cortese» (parlavo così, riesumavo il Medioevo) si è trasformata in una bocca aperta, per la sua grandissima FAME. E la fame non mette barriere: mangia tutto, Sexton e De Andrè, Kylie Minogue e Dante.

 

    

5
     Dove io vedo instabilità, qualcuno vede un corpo. Dove io cado, qualcuno costruisce. Tutta l’esitazione – mia – di questa scuola si è tradotta in modi energici: in altri, in te che leggi. Questo è il vero risultato. Ripeto: dove io vedo, o sono, l’instabilità, che balbetta, qualcuno ha visto un inizio e ha fatto cose buone.
     Qui il tema della consolazione, possibile o impossibile, è continuo. Quando viene, questa consolazione è come l’uso magico delle parole in Florenskij: è un miracolo, o un’adesione tra cosa e cosa. Allora il cuore rosso dice: ecco il mio posto.

 

    

6
     Scrivere qui, esercitando le dita alla velocità, significa lasciare una traccia leggera, più simile a parole di bocca che a parole di mano. E poi arriva chi le ospita; chi le raccoglie, e chi le commenta; e chi le integra; e chi le stampa. Ora quelle mani ci sono, e continuano a rappresentare la presenza. Chi ama lo sa: sa che dell’amato o dell’amata cerca anche le mani. Non è una cosa letteraria, ma la vita di tutti.

 

    

7
     La maggioranza dei lettori è stata una maggioranza di lettrici. Non è un caso. Quando siamo stati solo maschi o uomini a parlare, qui ho tremato: allora si stava discutendo su una cosa impoetica e politica (in un certo senso: il potere). E che cosa è l’Arcadia, e come ci si entra, e perché, ecc. Che cosa te ne importa, ancora? Per la prima volta, davvero per la prima volta, mi sono posto il problema della felicità. Tutto è esposto e riguarda la poesia.

 

    

8
     La mia poesia è stata interpretata come gelo, e a suo modo urlava, ma non si vedeva. D’ora in poi si vedrà, perché riscriverò tutto. La poesia parlava già della lingua mossa e della lingua tagliata o blesa. E parlava di molti baci; dunque conteneva molte allusioni medievistiche e mistiche. Ma tutto finiva e iniziava lì: solo amore amore amore, non l’estro che combina e gioca.
     E tu non ami la musica priva di voce umana: le manca la parola e te la toglie. Chopin – dico per dire – è intraducibile: non comunica un solo concetto verbale. è vero senza verbo, fa paura [a me no, ma ti capisco]. Ti toglie dal tuo centro, di cui hai bisogno per esistere.
     Tolta la parola – quella dell’uomo – il centro non si distingue più: come si dichiarerebbe, se fosse muto?
     Così agli umanisti di oggi non interessa la felicità, perché si tratterebbe di disperdersi oltre il centro [di disporsi oltre il cerchio]. Intuìto questo, non importa più niente di niente: parti e vai oltre [e ho perso un mucchio di anni senza sapere: senza saperlo].

    

9
     Posso essere, di volta in volta, l’esaltato che fa cenni, il politico che vuole imporsi, l’uomo che intende essere virile, il giovane che aspira a sembrare – perché lo è – giovane. I testi non peccano come le persone, e ciò che nell’uomo si chiamerebbe ambiguità è una specie di condizione fluttuante, qui. Una specie di nebbia, con parti di luce. Ma il fatto è un altro: di chi è solo, in seno ad una famiglia oscura, non si parlerà mai.

 

    

10
     L’Occidente – di volta in volta romano carolingio fridericiano absburgico nazista – è già caduto altre volte. Solo il nostro Occidente deve essere eterno? Franco Buffoni dice a se stesso: «Sai che, più ci penso, più mi sembra che la tua utopia assomigli proprio ad un campus nordamericano politicamente corretto? […] La verità è che a te e ai milioni di coloro che vivono negli ‘stati di diritto’, dei minorenni cinesi non importa nulla nel profondo; così come non importa nulla delle migliaia di donne musulmane violentate e impiccate a Srebrenica… […] Tu vivi come in un sogno e scrivi le tue poesie, e sei contento che sia così. Perché solo la logica onirica può giustificare il tuo modo di pensare […] Cerca di decostruire anche te stesso: fra quelli dei nemici metti anche il tuo nome!»(1).

 

    

11
     Un principio di crollo avviene a Milano. Le «piccole cose» – dove sono? ci sono – si riverberano: più mancano e più tolgono, inevitabilmente. E: la discussione pro et contra Joyce (Joyce è un esempio pesante) forma una domanda: di che cosa è conservatore uno stile conservatore? e: recita in scala 1:1 il suo essere conservatore o indica qualcosa? e: di che cosa è contestatore uno stile contestatore? si limita ad eseguire l’esecuzione di sé o crea il mondo? vale la pena sperimentare per contestare una brutta poesia tradizionale? Il carattere personale è contro queste cose.

 

    

12
     Questa arte si chiama letteratura. Il suo nome parla di lettere. Le lettere compongono le parole. Le parole servono a comporre la lista della spesa, la tesi di laurea, il ricettario, il romanzo, la poesia. In musica non è così. Varèse Cage Berio Nono NON condividono nulla con il mondo: vi si inseriscono, a forza, come pietre che cadono dal cielo. Ma la scrittura è dentro e fuori il mondo, perché le parole sono usate dal vicino di casa e da Joyce: stesse parole, diverse sintassi.
     Gli stili [che si oppongono] non sono idoli. Portano la verità? due verità parallele? una, sola? e se la questione non fosse stilistica? se – dico per dire – entrambe le vie fossero ugualmente valide o ugualmente fallimentari? [fallimentari dal punto di vista militante, dico].

 

    

13
     Il discorso sui nomi dei poeti – quelli che scompariranno presto e quelli che dureranno, in qualche modo – è duro.  Anche questo è stato accolto da mani senza peli. Esistono molte «donne gentili».
     Infatti non c’è pelle – compresa quella di Cristo – che non sia uscita dal centro dalla fatica dal sangue di una donna. Il parto e la tessitura appartengono alle donne: dal parto e dalla tessitura deriva un lessico che la nostra arte non abbandona ancora (trama ordito viscerale intreccio creare nascere). Non c’è pelle che non sia soggetta, prima o poi, a qualche «trafittura»(2): ma questo è l’altro discorso, che il tempo renderà più esplicito.

 

    

14
     Il 26 marzo 1969 Paul Celan annota che «la poesia non si impone più». È come dire: in passato si è imposta, ieri si imponeva ancora, ma oggi «si espone». Non viene per installarsi, ma per darsi (ed esporre ha una varietà tremenda: Prometeo, Edipo e Cristo sono esposti sulla rupe, sul Citerone, sulla Croce; la merce è esposta nelle vetrine, per un pubblico indifferenziato; l’opera d’arte in mostra è esposta). Commento: «[…] quasi a dire che “oggi” non c’è luogo capace di ospitare la venuta della parola, non c’è “posizione” in cui questa possa orientarsi e ordinarsi»(3). E ci si «espone», in italiano e in francese, au soleil, à un danger, aux critiques: al sole, a un pericolo e alle critiche; al pubblico.
     Anche lo scrittore «si espone al suo tempo e se ne lascia penetrare secondo modalità insospettabili»(4).
     La dittatura chiede a Mandel’štam (e a «lei»: alla poesia): «riconoscete di essere colpevole di scrivere opere a carattere controrivoluzionario?». La poesia si espone con l’unica risposta possibile: «Sì». Per essere ancora qualcosa, lei accetta di impoverirsi, si contamina con la mia psicologia (e la tua) e il mio giudizio (e il tuo). Ha accettato di vivere nella contraddizione continua e nella polemica: quindi nel fuoco che affina.

 

    

15
     la poesia esiste. la poesia può toccare molti. si vanta e si gonfia [a differenza della carità], e spezza il silenzio. la poesia rimane in piazza e in chiesa: nella voce di Benigni e di Bene. e si piega al nostro delirio e non ci rimane [Kurtz legge Eliot alla fine di Apocalypse Now: «siamo gli uomini vuoti», e l’aria assomiglia al verso, e Kurtz non si distingue dal luogo folle e dal testo lucido].

 

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Note

(1) Più luce, padre, Sossella, Roma 2007, pp. 194, 195.
(2) «P.S.: Je vais quitter l’aube. […] pensando all’ultima trafittura»:
Salvatore Salemi, Poesie, a c. d G. Marcellino, Catania 1998, p. 87.
(3) Silvano Facioni, La cattura dell’origine. Verità e narrazione nella tradizione ebraica, Jaca Book, Milano 2005, p. 112.
(4) Tommaso Giartosio, Perché non possiamo non dirci. Letteratura, omosessualità, mondo, Feltrinelli, Milano 2004, p. 171.

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15 pensieri riguardo “Scuola di poesia”

  1. al punto 8, leggevo ieri sera con *la fame*, mi sono spiegata l’importanza del centro…

    quanta riflessione in questi lucidi spazi del sentire…
    le traduzioni di Massimo mi sorprendono per l’accurata pulizia della parola.
    Sono andata a cercare una traduzione della poesia n. 441 di E.D. e…
    la riporto qui:

    è questa la mia lettera pel mondo
    che mai non scrisse a me –
    Semplici annunzi che dà la Natura
    con tenera maestà.

    Il suo messaggio è consegnato a mani
    per me invisibili.
    Per amor suo, miei dolci compaesani,
    benignamente giudicatemi!

  2. quell’esporsi mi ha toccato sempre – nel libro è citata la donna della favela che si *espone* a Leonardo Boff: ho sempre avuto uomini brutti ammalati magri, lei padre è bello sano forte, sono ancora giovane ho 35 anni, mi faccia felice faccia l’amore con me una volta – e lo dice “mostrando le parti intime”, pudicamente Boff

    il pudore dice: non posso non devo non voglio, sono un prete

    poi il prete medita e dice: se fossi un santo, avrei fatto l’amore con quella donna, la castità non è astinenza

    *

    Pino Pelosi ha scritto il secondo libro. neanche ora dice tutto. ruba a PPP il suo “io so”, ma non dice tutto. ammette che conosceva l’Ambiguo, che lo ha frequentato – e che l’Ambiguo (l’uomo INDIFESO, come disse Eduardo) è stato ucciso per i cattivi uffici di Sergio Citti. la polvere è accecante, e il bisogno anche. l’uomo ricco era esposto ad amici e nemici, come un povero. e tutte le versioni su PPP sono false, perché tutte sono parzialmente vere; solo Dino Pedriali è stato ascoltato poco, ed è un peccato: è stato SCELTO, come Ninetto e come Pino. il problema è che *se sei SCELTO non puoi tacere*

    *

    scrivo in via Balbi al computer degli studenti e la velocità del pensiero vuole che il micro e il macrocosmo si espongano. oggi sarei stato a Milano in una galleria, tra elementi osceni, a fare una performance che non potrà essere che oscena – ma la carne è triste! anzi no, non è triste – però è malata da giorni

    *

    grazie Francesco

    e bello vedere i nomi – questi (grazie anche a te, Anila)

    Mario mi ha detto: ti scortichi, quando scrivi, e ne aveva timore

    sì, grazie a Dio – e Mario si terrà il suo timore, dolcemente come sa

  3. ho letto questo post almeno 3 volte, indecisa a commentare perché alcune parti le trovo così mie ché quasi mi spaventano.
    io ho conosciuto Massimo in due tre letture ma in una, quando cantò ( e non scherzo ) delle mie poesie inginocchiato davanti a tutti ed io lessi la sua bellissima Antigone in cambio, beh in quella ho conosciuto l’uomo, la dolcezza fatta uomo.
    questi scritti sono così sinceri, così aperti, così veri per certi versi.
    te Massimo, senza nulla togliere agli uomini, mio caro, dovevi nascere donna!!!!

    un abbraccio,
    Anila

  4. Grazie a te, Massimo, a chi è intervenuto e a quanti hanno letto. Le creature del “sottobosco” ti vogliono *bene* – perché al di là dei tuoi meriti letterari e artistici, sei *vero*, esisti, vivi…

    *Voler bene*, ed *essere veri*: due realtà perdute, negate per sempre, ormai, a chi deve dire sempre “sì” al minimo stormire degli “alberi di alto fusto”: quelli che hanno visto il sole, *finalmente*, ne sono inebriati, e ancora non si sono resi conto che stanno contemplando il luccichìo della loro polvere in lontananza…

    fm

  5. Seguii solo in parte la scuola in LPELS, c’era qualcosa che a me sembrava sempre sfuggire, come un filtro decodificante di cui solo tu , massimo, e pochi altri erano in possesso. Era un po’ come stare a gambe larghe su due sponde, essere lì, ma ignorare cosa realmente passasse attraverso. L’estratto mi sembra diverso, e forse perché “perdere” era quello di cui la scuola esigeva
    .
    Sono andata sul sito dell’editore ma non riesco a capire come ordinare il libro, Massimo o Francesco sapreste dirmi come fare?

    grazie
    lisa

  6. Lisa, io so solo che il libro dovrebbe essere disponibile proprio in questi giorni; poi magari passa Massimo e ci dice come fare a richiederlo. Così, intuitivamente, penso potrebbe bastare anche una telefonata alla casa editrice, i numeri sono sul sito linkato.

    fm

  7. buon giorno, Lisa… hai notato una cosa giusta. la scuola di poesia on line era pubblica per essere privata. quindi viveva in una contraddizione permanente; anche vitale, ma contraddizione. era (anche – non solo; ma anche) una serie di lettere quasi medievali, piene di senhals scoperti o coperti per alcune persone, oggetti – ma sarebbe meglio dire *soggetti* – di un amore. non c’è niente di male, ma quello non era il bene. era una specie di “violenta carità”, appunto – però la vita vitale è un’altra cosa

    quest’anno “contiamo infiniti morti”. non dico dei Nomi immensi. dico di Giuliano Mesa e di Massimiliano Chiamenti. a Giuliano devo la prima attenzione, la prima pubblicazione di poesia, la prima prefazione, la prima lettura pubblica (“sei un gran paraculo!”). a Massimiliano certi incanti fiorentini e correggesi, un certo modo delicatissimo di corteggiare e di accettare il rifiuto – ma dove non c’è pretesa non c’è rifiuto. è morta anche un’amica dopo anni di droga: la persona che mi vide affacciato ad una finestra in anni bui. disse: ti ho visto e mi hai fatti tenerezza. ci sono versi degli anni bui che riportano le parole esatte.

    un cacciatore e un annotatore di parole *esatte*, dette in istanti precisi da persone vere; e virgolettate. una poesia fatta da *loro detti*, da dire con passione e dolcezza; e con forza. e così è nata una performance che nessun critico chiama performance. non direi nemmeno *rito*. direi: intensità

    Chiamenti scriveva volutamente male, seminando frammenti di Medioevo ed endecasillabi. il professor Chiamenti, allievo del chiarissimo Francesco Mazzoni, si è ucciso per povertà, per solitudine amorosa, per solitudine. non ha nascosto nulla del suo darsi ai marocchini, della sua povertà e della voglia di morire: i testi dicono tutto. potrebbero essere diversi solo la vita fosse diversa: maledetta l’una, segnati gli altri. probabilmente non è un grande poeta, ma è l’incarnazione fisica – non solo biografica, ma biologica – della scuola di poesia.

    e Giuliano non fa eccezione. e il suo isolarsi da tutti è coerente. Giuliano era ossessionato dal narcisismo e dal potere: “che altro è se non narcisismo?… io non so né comandare né obbedire”. ci eravamo persi, in nome del “narcisismo”. io credo che un certo apparire non sia nemico di un certo essere: chi ha una mamma sarta può averlo imparato nei primissimi anni. e un certo buttarsi nel mondo può non essere narcisismo marcio, e di sicuro non è potere.

    scrivo sentendo Bach. oggi per una volta non sono solo in casa e la casa respira, se è abitata da chi la sa vedere. come tutte le cose: è lo sguardo – cioè l’attenzione – a illuminare. Cristo fa miracolo solo dove è creduto, non altrove. l’occhio è miracoloso. il corpo di alcune e alcuni è santo nel senso ebraico, non cattolico: non è un modello da imitare dal punto di vista degli uomini, ma un segno di cui Dio – dal suo punto di vista – gode (perché Dio gode, certo).

    deliro e accumulo dati e fatti.

    e poi: mi chiedevi del libro. credo che la cosa migliore sia telefonare all’editore: risponderà una donna piacente, di dolce intelletto. e tu l’adora sempre, nel suo valore! detto fatto, il numero è 0733 290938 oppure l’email : e.tamburrini@vydia.it

    riscrivo tutto per risolvere i danni e lo scarto tra le situazioni e l’io. in questo senso non c’è nessuna politica, nessun potere. è un mondo o un sottobosco in cui si sta bene, e con il potere si hanno vincoli solo puerili. ad un convegno incontri un ministro, gli fai un sorriso, e poi,alle sante guagnèle, gli si voltano le spalle! un abbraccio e un sorriso da qui,
    massimo

  8. poi a febbraio ricominciammo a parlare, il primo amico e io. Giuliano scrisse “tieni duro” – un motto che viene da altri tempi, non luminosi. ma Giuliano una volta aveva scritto che “la tentazione di virgolettare tutte le parole è forte”. *da recitare nei giorni di festa* è anche il dialogo con gli autori [infelici] della Destra. Giuliano era intensissimo e preciso nel suo citare il russo in russo, il greco in greco, ecc. – così si deve essere, se umanesimo deve essere (che non è un gioco; e nel 2010 c’era ancora chi strillava che certi poeti nun so’ morti nel letto loro, e allora perché te piacciono?). tieni duro. poco ma sicuro. è una cosa importante, questa: parlare anche come l’ultimo a parlare (nel caso di Giuliano) e stabilire che io sono così e non cambierò, tu sei così e non ti cambierò – ma ci si vuole a vicenda (non ci si vuole *bene*; ci si *vuole*, si sa che c’è la sponda; e poi la sponda muore e del suo corpo si fa cenere e Giuliano ora è polvere impalpabile). tieni duro. tieni duro. tieni duro. tieni duro. tieni duro. tieni duro. da ripetere nei giorni di festa: non è forse la festa di TUTTI I SANTI? allora gloria ai santi (nel senso ebraico, dicevo: i separati, sotto “il punto di vista di Dio”)

  9. tradurre il delirio in forme chiare non è facile. direi così. il Dio dell’Antico testamento esige santità: siate santi come io sono santo. santo non significa *modello* da imitare. santo significa *separato*, cioè osservante di norme che valgono *in quanto tali* (non mangiare crostacei, non mescolare lana e lino sull’abito del sacerdote) e in quanto segni (non mancare di rispetto alle nature, alla natura, ai limiti; abìtuati a considerarti ospite e custode, e di passaggio: uno straniero tra altri stranieri).

    non solo santo, ma anche impeccabile (Campo direbbe imperdonabile) come il nagual don Juan di Castaneda. il nagual non è ‘buono’: può essere beffardo, ambiguo, pericoloso, antipatico, ecc. Ma ha questa impeccabilità professionale (e nel suo caso la professione è una cosa *sola* con l’esistenza): ha una perfetta coscienza dei livelli di attenzioni richiesti caso per caso. quindi sa vivere. non cede mai. allora *tiene duro*, a suo modo – e si permette una strana leggerezza dionisiaca. ma non è santo nel senso cattolico – tutt’altro!

    ci siamo abituati a considerare l’ateismo come l’opposto del teismo. in realtà possono essere santi entrambi. Giuliano mi scrisse una volta un pensiero di Eckhart, che lui si ripeteva come un mantra, dopo averlo versificato. Adorno ed Eckhart, nella stessa mente – perché l’attenzione non cede mai. Dio gode di questo. e se non Lui – come si fa a parlare dell’io di Dio? – ne gode il «fondo dell’anima»: quello che dovevi fare l’hai fatto, non manca nulla, il dovere è compiuto, l’opera è fatta, “quello che ho fatto resterà”. non è che l’uomo crei Dio; per il credente è il contrario, ma non importa questo (questi sono concetti, cause ed effetti). l’uomo e Dio si ‘riconoscono’ a vicenda: per essere bisogna essere in due, e i due soggetti si ‘ricreano’ a vicenda (odio le virgolette, odio i sensi contraffatti – ma non *oso* una chiarezza piena e piana, in questo campo). accade anche in casa, in famiglia: l’io del figlio è frutto del riconoscimento, soprattutto materno. se tu mamma mi accogli, io figlio mi riconosco, e mi forgio un io – divento uno, perché tu sei una. ecco, direi che accada una cosa simile. e il (cosiddetto) Dio gode di questo: Dio cioè l’umanità nel suo stato migliore

    ma vedi bene, Carla – queste sono trascrizioni molto imperfette di qualcosa che sta e non sta nel dicibile. e così è una scuola di poesia – (nella quale sono allievo anch’io – convinto da sempre di qualcosa che nel libro è ripetuto fino all’eccesso: l’Esposta – altro nome della poesia – non è un gioco, non è un abito che si mette e si toglie, coincide con la vita, cioè con il corpo e le abitudini. e per questo non sono un poeta. ché dire “io sono un poeta” è come dire “io sono *come* Amelia Rosselli”. dire “io sono *come* Amelia Rosselli” è come dire “io sono santo e impeccabile”. e coltivare relazioni e mediazioni per sopravvivere qua sotto, in Terra, non ha niente a che vedere con la santità, tanto per dire (il prof. P. mi racconta del poeta *** che aspetta l’editor di Mondadori fuori dal ristorante, giorno dopo giorno, negli anni Settanta – ecco, niente è meno santo; e non c’è niente di male, ma non è il bene; e di queste cose l’umanità nella sua pienezza – che è Dio, diciamo così – *non può godere*). Dio è la dignità, alla fine. Dio è l’uomo come deve essere (l’arte è la vita che ci manca, scrisse Mesa in un aforisma: il sapore – il sapere – di Eckhart non è poi tanto lontano, in questa congiunzione di *essere* e *mancanza*)

  10. Grazie Massimo, certe tue riflessioni avrebbero bisogno di uno spazio *regale*…non andrebbero perse perchè sono così piene di essenza…
    quando ti leggo mi accade di sentirti, e questo per me è il vero potere della scrittura.
    *essere e mancanza*, una congiunzione santa, indispensabile alla vita.
    nella tua traduzione del delirio riesci a trasmettere concetti e riflessioni che splendono e guizzano via come lampi…
    La poesia non dovrebbe conoscere la fama perchè è già paga dei cuori che sa colmare.
    ciao :-)

  11. Massimo la conservo questa tua risposta. Io credo che la poesia sia fatta per cercare e non per trovare, la poesia cerca in te e tu nella poesia, la poesia non è fatta per trovare; trovare è circoscrivere, è legame e fine, cercare è sconfinare.
    Stamane ho ordinato il libro.
    Grazie
    lisa

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