Nottario (I, 2)

Marco Ercolani

“Colui che guarda dal di fuori attraverso una finestra aperta non vede mai tante cose come chi guarda una finestra chiusa. Non c’è oggetto più profondo, più misterioso, più fecondo, più tenebroso e più abbagliante di una finestra illuminata.”

(Charles Baudelaire)

“…in fin dei conti, non un corpus ma un mucchio di cenere, per nulla preoccupato di conservare la sua forma, oppure appena un riparo, senza nessun rapporto con quello che ora, per amore, ho fatto per voi e che adesso vi dirò.”
(Jacques Derrida)

 

NOTTARIO

(1990-2008)

 

Non sono tanto io che ho fatto il mio libro
quanto il mio libro che ha fatto me.

Michel de Montaigne

Ora voglio scrivere il mio diario e per gratitudine
chiamarlo il mio nottario […].

Robert Musil

 

Per la mano sinistra

 

(Per la mano sinistra)

 

11

Resto nella gioia di non capire.

Mi è accaduto di sentire messaggi precisi in lingue che non conoscevo.

E’ vero ciò che ci travolge, ma di cui possiamo restituire una traccia.

Alla fine, avendo prodotto fantasmi, diventarlo.

Scrivere quanto basta a respirare.

Se un sogno è segreto allo stesso sognatore, può essere ancora sognato.

Poesia è tradurre in parola quanto sarebbe impossibile descrivere con il linguaggio.

Un libro di appunti è una casa in cui non ripararsi.

L’arte come non-vita che deve essere viva.

Ripeto, con le mie parole, le idee degli altri, perché diventano mie.

Uscire da una forma penosa, ma mobile, per entrare in una forma immobile, destinata a putrefarsi.

Il possibile che appare sulle rovine di ogni possibile.

 

12

Il poeta subisce il mondo come un universo già perduto, che potrebbe ritrovare con l’atto della parola.

Inventarsi una zona inabitabile, ed esserci.

Chi scrive esita a svegliarsi o a prendere sonno.

Non conciliante e non prevedibile, per eccesso di utopie, l’arte costringe ineluttabilmente a fallire.

La visione è l’inizio.

Arrivo alla metafora come un annegato rivede la superficie del mare.

Mai dubitare che la nostra arte non reinventi, fosse anche in un dettaglio, il mondo già creato.

Scrivendo mi allontano dall’uomo che sono stato prima di quelle parole.

Il turbamento non si oppone alla chiarezza. E’ la chiarezza.

Nessun linguaggio, se è autentico, sa esprimere la veggenza.

I diversi zampilli nascono da una sorgente comune, avvolta nella stessa notte.

Nessuna vetta che le radici non vedano. La verità è consistenza.

Certi destini esigono determinati linguaggi.

 

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La forma è limpida per esprimere cose e opache.

Ma se, dalla porta in cui appaio, fossi già scomparso?

Certi giorni, che trascorrono senza di me.

Scrivere è un atto di violenza, un magico errore, una gioia senza nome.

La poesia non nasconde e non svela.

La forma della poesia confluisce in suoni che ne cancellano l’architettura.

Prima di scrivere, maturo la gioia di tacere.

Sciolse la scena del disastro con parole che risuonarono armoniose.

Somigliando a qualcuno mi scopro inimitabile.

Lo spostamento di un avverbio è più eversivo di una rivoluzione vittoriosa.

Le opere inessenziali hanno una grazia particolare.

I fiumi si differenziano per i detriti che trascinano.

 

14

La pertinenza del testo: modulare una passione.

Le perfezioni sono attimi.

La poesia è abitare desideri impossibili.

Il fulmine frantuma lo specchio che riflette il lampo.

Lo scrittore ha un solo dovere: essere cosciente delle proprie visioni.

Perché la mia lingua sia vera, deve averla nutrita il buio.

L’immobilità: limite estremo del rallentamento del moto.

Lo scoglio non esaurisce il flusso delle onde.

Scrivo per prepararmi a scrivere in qualche impossibile giorno

Siamo perduti, solo se siamo stati ingiusti.

Disimpari lo stupore e cominci a morire.

Disorientare il presente: sopravvivere.

 

15

Allo scrittore accade di anticipare se stesso senza conoscersi ancora.

La parola è indicibile. Ma occorre scrivere per saperlo.

Morirò per non essere sopraffatto dalla morte.

Maldestri e inutili, stupidi e balordi. Eletti.

Qualcuno si crede originale per eccesso d’ignoranza.

Il linguaggio può trasformare, ma bisogna esserne all’altezza.

Non c’è nulla di conforme: mi aiuta la scienza del deforme.

Nascere sempre nel tempo sbagliato.

Scrivo per ripetere ciò che non sono. Per allontanarmi da me

Non avendo più nessun desiderio, come posso desiderare la morte?

Solo quando la casa va a fuoco, è visibile la sua architettura.

 

16

Chi è cieco grida di non vedere. Non scrive aforismi sulla cecità.

Distruggere quel suono solo per aprire le orecchie a un altro suono.

L’arte, consumando opere, non si annulla ma cambia forma.

La parola è trasparenza dell’io all’esperienza dell’abisso.

Non si crea verità ma la si dissotterra.

Prima necessità: esprimersi. Prima necessità: ammutolire. Da dove si inizia?

Un uomo che guardi se stesso da lontananze estreme e trovi un linguaggio possibile.

La forma dell’io, alla radice, è visione del non-io: vertigine dello specchio.

Un dio – ma simile al fumo che sale dalle macerie.

La forma più primitiva del sapere è un soffio di vento.

Il passato non è mai certo della sua estinzione.

 

17

La follia, come l’arte, presume di sconfiggere la morte.

La scrittura è spartito per la voce.

Troppe parole, nella pagina, e pochissimi ricordi, nella mente.

Uccidermi sarebbe perdere il flusso vivente di cui solo io sono occhio e orecchio.

Avvicinarsi alla mancanza di maschere è la via maestra per togliersi la vita.

Scrivere è parlare di un vento di cui non ricordiamo il suono.

Nessuna interiorità è personale.

Tutte le idee vengono dal sonno.

Solo chi si sveglia può osservare dormire.

Dormire è appartenere al segreto di un altro.

All’interno del sonno c’è un risveglio di cui la scrittura è complice.

Il testo è il risveglio ma il fondo della parola è il sonno.

Stile: gioco di equilibri attorno a un precipizio.

 

18

La scrittura è il sogno illegittimo ma reale della resurrezione.

Il sonno rende la veglia un territorio misterioso.

La vita: progressivo misconoscimento del mondo.

Ci sono fantasmi che devono esistere per noi e oltre di noi.

Farsi sopraffare dalle voci è la volontà di creare un non-luogo della letteratura.

Il punto più in ombra corrisponde al centro della luce più intensa.

Disegni fatti di fuliggine e cenere, di ciò che è esistito ed è bruciato.

Il vero incendio è dove soffochi, non nel chiarore delle fiamme.

Ricordo impossibile: il sole sotto il cuscino.

L’opera deve restare segreta, se occorre, contro il suo stesso autore.

Annotare, ma lentamente.

 

19

Missione impossibile ma necessaria: trovare le frasi lucide dello stordimento.

È l’opera stessa a inventare l’io nel quale vuole esprimersi.

La scrittura può descrivere i colori, ma ogni descrizione è un’ombra.

La musica tradisce il corpo meno della parola.

Della musica attrae il silenzio suscitato dalle note.

Scrivere: emorragia che non può essere fermata.

Ma si scrive anche per improvvise otturazioni, per spasmi e per colpi.

Ci sono ferite che richiudere sarebbe un delitto.

Aveva molto buio, nelle dita.

Accettare il fallimento personale come la linfa necessaria.

 

20

Perseverare nel sogno: scegliere il delirio contro l’annientamento.

Alcuni intervalli, dentro il mio sonnambulismo: gli atti vitali.

Riposare dai miei folli. Non vivere più in loro ostaggio.

Ritrovare, sotto il torace, la gioiosa oppressione di creare.

Letteralmente non togliere mai la penna dal foglio.

Stupirsi per chi ti chiede cosa stai scrivendo.

I libri: la propria ferita, inarrestabile, scesa a patto con delle cicatrici.

La «cifra del tappeto» di tutta la mia opera è la necessità di vivere nonostante.

Per chi esige una certa luce, l’ombra non sarà mai sufficiente.

Non vivere neppure un attimo senza le potenzialità della parola.

Pagina mai vuota – inesauribile esorcismo.

 

***

11 pensieri riguardo “Nottario (I, 2)”

  1. dietro queste parole, circondate dalla notte ( e si sente), c’è uno spirito-fiamma, che dicendo si agita, va su e giù, a volte si contraddice, o sembra contraddirsi, perché fa tutt’uno con la Vita.

    da meditare, con misurata follia,
    grazie

    roberta b.

  2. sarà perché, fra le varie suggestioni del giorno mi porto un piccolo girovagare in un mercatino di pulci e artigianato vario dove sono stato colpito in particolare da un’esposizione di fossili e una, d’un amico, di pezzi di legno ritrovati lungo rive (di fiumi, mari, periferie…) e rinominati…

    insomma, qui ritrovo lo stesso intreccio di entrambe le dimensioni (portate alla loro singolare evidenza dall’aforismaticità) quella del ready-made e quella del deposito – scritturali s’ìntende

    sono andato anche a rileggermi meglio la prima parte, che avevo visto un po’ di corsa, non andando oltre il sentore di aforismaticità, il quale del resto, mi pare, non è che superficie d’altro scavo

    e mi sono soffermato sulla dinamica del montaggio:
    A. della scansione dei singoli numeri: dalle materie di cui si compongono impossibilitati a confinarsi nei numeri chiusi del varietà d’un Pierrot Lunaire
    B. delle giustapposizioni fra versaforismi: per essere tale un aforisma si presenta perfettamente isolato sul foglio, o entro una certa porzione di foglio riconoscibile come isola distinta, monadicamente, dal resto eventualmente scritto,… o disegnato, o… (un pulcino/elefante casiraghyano) – qui invece l’essere separati/non separati (un discretum di contiguità) mette comunque in moto percorsi di senso che rimbalzano da una “stringa” all’altra (anche a ritroso)

    e in linea con la citazione di Zuccarino che apre il primo post, con un evidente riferimento alla presenza di un costruire quotidiano e annoso, sarei molto curioso di sapere dall’autore se la successione dei singoli versaforismi (hmm… non mi convince mica tanto quest’esperiento di neologismo… bah) nasce in contiguità col succedersi del tempo; ovvero l’ordine in cui li leggiamo coincide sostanzialmente con quello in cui sono stati scritti; prevalere del depositarsi rispetto al ritrovare; oppure da una loro ricombinazione in una o più fasi successive; ovvero l’ordine originario viene smarrito in un successivo rimescolare e ricombinare, facendo emergere così nuove ipotesi di rimpallo trasversale dei singoli versi-eventi; prevalere del ritrovare sul depositarsi.

  3. Grazie Roberta, Pasquale, Mario, del passaggio.
    E grazie ovviamente a Francesco.
    Rispondo a Mario e alle sue puntuali osservazioni. Neppure a me piace il termine “versaforismo”, che abolirei. Le mie sono sequenze di frasi, e basta, intorno al mio concetto di poetica. Il loro senso prevalente è ritrovarsi. I frammenti sono stati scritti e riscritti in un arco di tempo pluriventennale, e il loro ordine è stato scelto da me dopo, per costruire un testo plausibile e non del tutto sconnesso e scucito. Io parlerei di una “annotazione sonnambolica” su temi ricorrenti e ossessivi del fare artistico. Quello che stupisce me, ora, rileggendoli, è che mi sembra invitino simultaneamente alla riflessione estetica come alla semplice visione della frase.
    A presto.
    Marco

  4. ti ringrazio (va bene il tu?) Marco per questa dettagliata esposizione del metodo di lavoro che hai seguito per realizzare “Nottario”, non è da tutti mettersi a disposizione del lettore per farlo entrare in “casa propria” un pezzettino in più di quanto già il testo faccia – spesso ci si difende dietro il dito magico dell’ispirazione, oppure spallucce e “che ne so io! scrivo e basta”…

    in effetti, tornando a questo tuo “aforizzare sonnambolico” (o “sonnambulico”? lo dico per tenere meglio in evidenza, giustapposta all’inerzia del “somnium” la radice latina “ambul-“, con impronta di movimento binario, direzionato ma non esattamente unilineare), insomma il tuo stupirti trova sicuramente una risonanza anche nel mio stupirmi di come una sequenza così disposta di costrutti aforistici ne provochi una loro proiezionale e soggettiva deviazione dalla forma originaria (come il grandioso brano musicale “In C” di Terry Riley dove il meccanismo semi-aleatorio provoca la ripetizione per un tempo variabile fra i 45 e i 90 minuti della nota DO in differenti combinazioni con altri suoni, tanto che ad un certo punto dell’esecuzione la certezza di stare ascoltando davvero quella nota, perentoriamente ribadita, viene letteralmente meno; così come viene meno, nella tua ripetizione ossessiva della struttura formale dell’aforisma la sensazione di una sua paradigmaticità assoluta) e anche apra ad una sorta di “sapienzialità notturna” (il Libro biblico della Sapienza non ha del resto un andamento tanto dissimile – anche se si estende soprattutto nel diurno…

  5. Caro Mario,
    il riferimento alla sapienzialità notturna non può che trovarmi in sintonia. Non conosco “In C” di Riley ma posso dirti la mia profonda simpatia per l’avventura sonora di Giacinto Scelsi, dove la musica appare una grande curvatura dello spazio-suono e si disinteressa dello sviluppo del tema rendendo la superficie sonora un’espansione ad libitum del suono fino ai confini dell’udibile/inudibile. Sono molto lieto che Quodlibet pubblichi la prima parte della sua autobiografia.
    Ciao, Marco

  6. Un grazie a Roberta. Il discorso sullo “spirito-fiamma” mi aiuta molto a capire certe mie considerazioni sull’arte. In luoghi come La Dimora è proprio questo che conta: le unghiate improvvise dell’intuizione del lettore che aiutano a capire le proprie lacerazioni.
    Marco

  7. un lavoro complesso e di ampio spettro. Rilancerei sulla nozione di aforisma: le frasi pienamente autonome o monorematiche, vanno in quella direzione-ricerca di senso. Complimenti. Conoscevo Marco Ercolani come saggista, ma constato che guarda anche altrove.

  8. Trovo belli, intimamente connessi al tuo Nottario, nonché fra loro uniti, il riferimento di Mario alla “sapienzialità notturna” e quello di Roberta sullo “spirito-fiamma”.

    Del resto
    “Il vero incendio è dove soffochi, non nel chiarore delle fiamme.”
    e, ancora,
    “Solo quando la casa va a fuoco, è visibile la sua architettura.”
    ma anche
    “La visione è l’inizio.” e “Il punto più in ombra corrisponde al centro della luce più intensa.”.

    così avverto che questi “aforismi” mobili e permutabili (come traversine o strisce di persiane)

    rappresentano davvero

    “I diversi zampilli” che “nascono da una sorgente comune, avvolta nella stessa notte.”
    cioè quegli “spasmi” di scrittura (improvvise otturazioni, per spasmi e per colpi)
    per i quali “Scrivere:” diventa “emorragia che non può essere fermata.”

    (il gruppo al 19 lo definirei: della necessità, che va oltre la dichiarazione di “metodo”, della tua scrittura)

    c’è moltissimo qui
    ma due ancora sottolineo, che in me si fanno legati

    “Non si crea verità ma la si dissotterra.”
    “Aveva molto buio, nelle dita.”

    Grazie Marco!
    ciao

  9. Grazie, Manuel, Margherita.

    A Manuel: ti dirò la verità, non mi sento affatto un saggista, soprattutto in senso tradizionale, ma uno scrittore di sequenze di “poetica”, che sviluppo soprattutto nei miei racconti apocrifi.

    A Margherita: “mobili e permutabili come traversine di persiane”. Bella questa immagine per i miei aforismi. Molto heimlich/unheimlich.

    Un caro saluto.

    Marco

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