Loro tornano la sera

Michele Obit

Mi serve un coltello, ben affilato, e le sigarette.
Poi andremo di primo mattino, mentre fa ancora buio,
in un dicembre raggelato, dal vicino, tu prenderai la corda,
tu il secchio per il sangue…

(Jure Jakob, Macellazione)

Miran Košuta
Loro tornano la sera

Con Loro tornano la sera, florilegio di sette giovani poeti nati in Slovenia perlopiù durante gli anni Settanta del secolo passato e oggi affermati coartefici del florido presente lirico nazionale, Michele Obit perpetua da magrelliano «traslocatore di versi» e mondi la nobile mediazione culturale e poetica tra lettere slovene e italiane, avviata sin dal 1998 nella doppia veste di curatore e traduttore con la silloge Nuova poesia slovena. Allora furono soprattutto gli alfieri lirici del contiguo postmodernismo ad essere proposti per suo merito in scoperta e anteprima al lettore italiano: Aleš Debeljak, Alojz Ihan, Taja Kramberger, Matjaž Pikalo, Peter Semolič, Aleš Šteger e Uroš Zupan. Ora il filo d’Arianna di quel discorso mediativo si sgomitola innanzi, dando per la prima volta corda e voce italiana ad altrettanti ambasciatori delle successive generazioni liriche slovene: Primož Čučnik (1971), Lucija Stupica (1971), Miklavž Komelj (1973), Gregor Podlogar (1974), Stanka Hrastelj (1975), Jure Jakob (1977) e Karlo Hmeljak (1983). Se ai volumi menzionati affiancassimo poi anche la silloge italiana di dieci poeti sloveni contemporanei Decametron, edita nel 2009 dalla rivista Litterae slovenicae con il fondamentale apporto cotraduttivo dello stesso Obit, ecco che il thesaurus testuale della giovane poesia slovena, offerto in fruizione traduttiva all’Italia, apparirebbe oggi per buona sorte tutt’altro che esiguo e trascurabile. A settoriale, ma sintomatica riprova di un dialogo culturale e letterario italo-sloveno fattosi finalmente normale e fluido nella postschengeniana Europa senza frontiere.

Loro tornano la sera aggiunge a questa mutua osmosi di linfe verbali la stilla più fresca: il verso delle nuove generazioni che hanno iniziato a scalare le rupi del Parnaso con le loro raccolte d’esordio nella libera e autonoma Slovenia dei primi anni Novanta, dopo la scissione del paese dalla Jugoslavia, la conquista dell’indipendenza e l’epocale transizione dall’ormai fallita autogestione socialista alla matvejevićiana «democratura» del parlamentarismo occidentale e del consumismo capitalista. La loro, perciò, non è più una poesia politicamente dissidente, sartrianamente impegnata nel nome della Verità contro poteri, regimi o ideologie, un angoscioso urlo di protesta costretto magari a celarsi – come non di rado quello dei precursori – dietro il paravento di ermetici, astrusi modernismi. No. Per la prima volta nella storia degli sloveni, il verso di queste giovani leve è potuto germogliare senza costrizioni di sorta in mezzo alle libere, sconfinate praterie estetiche della contemporanea democrazia espressiva, del globale pluralismo artistico. E ha scelto di farsi intimo, individuale, antropocentrico, quotidiano, minimalista, ma insieme preciso, realistico, comunicativo, incisivo, tagliente come rasoio, struggente come tramonto d’autunno nel raccontare i più reconditi sommovimenti dell’anima.

Una nuova stagione poetica sta così fiorendo in Slovenia dopo il modernismo e il postmodernismo degli anni Ottanta e Novanta. Non rinnega la tradizione, non disconosce la lezione di Tomaž Šalamun, Milan Jesih, Boris A. Novak o Uroš Zupan. Anzi, ne presuppone la conoscenza e intavola con essa un fecondo dialogo, come fa in questo libro l’esclamante Karlo Hmeljak di «America, me ne vado!», deliberata e speculare eco del noto verso zupaniano «Amerika prihajam!» (America, sto arrivando!). Ma a differenza del canto precedente, le premesse del nuovo metro sloveno non sono più metaletterarie: non si tratta più di fare poesia con la poesia, letteratura dalla letteratura, di eleggere l’ars combinatoria a nomos demiurgico assoluto perché tutto è stato già detto o scritto. Si tratta piuttosto di porre con planetaria universalità nuovamente l’uomo al centro dell’indagine lirica e di penetrarne, come suggeriva a suo tempo il grande Srečko Kosovel, «la vita, la vita».

Ecco allora associarsi al diverso gorgheggio generazionale di apprezzate voci quali Taja Kramberger (1970), Aleš Šteger (1973), Jurij Hudolin (1973), Tomislav Vrečar (1976), Gal Gjurin (1978) o Andrej Hočevar (1980) anche i due soprani e i cinque tenori del presente coro antologico: Stanka Hrastelj, che qui sussurra di intimità familiari, suicidali solitudini, tombe e province; Lucija Stupica, che graffia malinconica «il giorno sulla sua schiena nebbiosa» desiderando «cose semplici, usuali», aborrendo significanze di Messaggi e proseguendo mano nella mano con Eluard sulla «via a senso unico» del verso; Karlo Hmeljak, quando stilla nelle sue strofe autobiografismi da velista o vuole, spasimando con il «Oh captain, my captain» di Whitman, rendersi «potabile» ai lettori, raggiungere un proprio poetico «stato aggregativo» che «la gente possa facilmente bere»; eppoi Jure Jakob, mentre si ispira al tenebroso Dane Zajc nel narrare di bocche chiuse a chiave, alienazioni esistenziali, cuori squarciati e amori finiti; Gregor Podlogar, che viaggia con la parola tra universi paralleli condividendo il kennedyano «Ich bin ein Berliner» o auscultando i palpiti del mondo «nella biancheria sporca»; e ancora Primož Čučnik, che sorseggia contemplativo il tè a Medvode, mangia rose per pranzo o auspica orficamente per sé e la propria penna: «cadere devono da te / tutte le lettere morte»; e infine Miklavž Komelj, che intride in versi rutilanti tutto il suo sgomento per il precoce addio terreno di Barbara e Pier Paolo, che respira per resistere ai fascismi del tempo e della società, che si rende tangibile in ogni suo atomo, ma non confessa neanche a se stesso ciò di cui non può parlare «con nessuno».

È questo in primo luogo, quanto sembrano annotare col loro fragile e risoluto, lieve e implacabile, neointimistico ed esistenziale verso libero i sette cantori del presente florilegio in perfetta sintonia con Un appunto di Wisława Szymborska: «La vita – è il solo modo / per coprirsi di foglie, / prendere fiato sulla sabbia, / sollevarsi sulle ali / […] e persistere nel non sapere / qualcosa d’importante». Benché nemmeno la poesia – irreprimibile anelito d’Assoluto – possa svelare quest’ultimo, essenziale mistero, loro, i poeti, continueranno a scrivere, a evocare bellezza dalle cose e tornare la sera da noi per illuminare anche solo per un attimo con la propria parola l’oscurità del senso.

Letto così, il titolo del libro assumerebbe dunque una metaforicità ontologica. Invece fa il verso – è proprio il caso di dirlo – al nome di un’analoga edizione slovena, uscita nel 2004 a cura di Matevž Kos per i tipi dell’editore Beletrina di Lubiana: Mi se vrnemo zvečer (Noi torniamo la sera). E come quell’antologia cercava di tastare il polso alla «giovane poesia slovena», germogliata tra il 1990 e il 2003, per mezzo di una selezione autoriale solo in parte collimante, così anche questo florilegio tenta di far cogliere al lettore italiano almeno qualche cesto dei più succosi frutti che va maturando ad est il vicino albero dell’odierna poesia slovena.

Il titolo di quel volume, ora emblematicamente parafrasato, riprendeva l’epilogo dell’aspra poesia Koline (Macellazione), pubblicata nel 2003 da uno dei giovani lirici in esso selezionati e ricompresi pure nella presente antologia, Jure Jakob: «Mi se vrnemo zvečer, ko se spet stemni» (Noi torniamo la sera, al nuovo imbrunire). Narra quel ferino testo – naturalmente «per speculum et in aenigmate» – di un’antica tradizione contadina non solo slovena, le «koline», la macellazione del maiale, nella fattispecie di una scrofa. Guarda caso un essere di genere femminile come: la tradizione, la convenzione, la storia, la nazione, la globalità, la poesia, la… Spalleggiato da un paio di amici, il lirico protagonista giunge dal suino nell’oscurità del giorno non ancora nato, armato di lama tagliente e mano ferma. Senza esitare vibra il fendente mortale, trafigge l’aorta dell’animale e ne squarta il cuore, attendendo che il sangue defluisca tutto. Poi, levatasi l’alba, arrivano i parenti a dissezionare la scrofa per l’intero giorno e sancirne la commestibile fine. «Noi» – chiosa enigmatico il testo – «torniamo la sera, al nuovo imbrunire»…

Anche Primož Čučnik, Lucija Stupica, Miklavž Komelj, Gregor Podlogar, Stanka Hrastelj, Jure Jakob e Karlo Hmeljak si alzano in questo volume di primo mattino, prendono in mano il coltello della loro arte e, tradotti, si recano mentre fa ancora buio, in un dicembre raggelato, dal vicino, dal lettore italiano. A squartare con la salda e scintillante lama del loro verso la scrofa della tradizione, della convenzione, della storia, della nazione, della globalità, della poesia, della… Ad attendere che si dissangui fino all’ultima goccia. Poi se ne vanno tra le brume dell’aurora.

Ma se li leggete, se magari al lume della quiete notturna – passato il clamore del giorno – prendete in mano questo libro, sfogliate i petali di carta della sua anima e prestate orecchio al suo dolcecrudo stormire, a quanto di nuovo rivela il giovane verso che oggi verdeggia di là dell’Isonzo, loro tornano. Loro tornano la sera…

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loro tornano la sera
Sette autori della giovane poesia slovena
Cura e traduzione di Michele Obit
Prefazione di Miran Košuta
ZTT – Editoriale Stampa Triestina, 2011
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Testi

Primož Čučnik

Mera

Že danes, sem vesel vseh dni, ki jih bom živel.
Tako težkih, ko bom prisiljen žgati glino
in lepiti razbiti vrč –

kot lahkih, ko bom barval stene prostora,
meril in polnil, se napil
in spravljal v ravnovesje.

Še danes računam, kolikšno utež bom moral
postaviti na eno stran, da bom ujel mero
in navadil dih na ne preveč in ne premalo.

Prevzamejo me precizni prsti,
ki vedno delijo dovolj,
a zase ne zahtevajo ničesar.

Biti dotik jezika
na nebu
nemih ust.

La misura

Già oggi mi rallegro di tutti i giorni che vivrò.
Tanto i difficili, quando sarò costretto a cuocere l’argilla
ed a incollare i cocci della brocca –

quanto i facili, quando dipingerò le pareti dello spazio,
misurandole e riempiendole, mi disseterò
e raggiungerò l’equilibrio.

Già oggi faccio i conti di quanto peso dovrò
porre da parte, per poter cogliere la misura
e abituare il respiro al non troppo e al non troppo poco.

Mi conquistano precise dita
che sempre ripartiscono abbastanza,
ma per sé non esigono nulla.

Essere il tocco della lingua
sul palato
delle bocche mute.

*

Karlo Hmeljak

Glaževina

Napolnil sem si usta s steklom.
Ko sem dolgo grizel, sem čakal.
Ko sem se odločil in je veter bil špičast,
je prebadal neznosno prozornost zraka.
Ko sem vse to pomešal,
se je svetlobi zavrtelo in sem se zamislil.
In že kot otrok sem se spraševal,
če gre kri, ki jo spijem spet v žile.
In prepričan sem bil, da moram omahniti
in mora kri biti v žilah topla, in bil jezen,
ker tega nisem čutil. Česa vse še nisem čutil!

Če bom moral kadar koli v življenju jokat,
se bom spomnil na to, da je Andrej umrl.
San Francisco je bil zanj in z Mitjo sva
jokala skupaj in objeta.
Najlepši popoldan, ko so se telesa imela rada do
meje krika, duše pa so razpizdjene hotele ven in
jim je bilo vseeno.
Bilo je grozno, ampak ko bi me šele neki izbris
ožgal in bil:
edina sled nekega upora.

Pezzi di vetro

Mi sono riempito la bocca di vetro.
Mentre masticavo a lungo, aspettavo.
Quando mi sono deciso, ed il vento si è appuntito,
ha trapassato l’insopportabile trasparenza dell’aria.
Quando ho mescolato tutto questo
la luce ha volteggiato e mi sono immerso nei pensieri.
E già da bambino mi sono chiesto
se il sangue che stavo succhiando sarebbe tornato alle vene.
Ed ero convinto di dover cadere
e che il sangue nelle vene doveva essere caldo, e m’adiravo
perché non lo avvertivo. Quante cose non avevo avvertito!

Se un giorno nella vita dovrò piangere
mi ricorderò che Andrej è morto.
San Francisco era per lui e con Mitja
abbiamo pianto e ci siamo abbracciati.
Il più bel pomeriggio, con i corpi che si amavano fino
al limite dell’urlo, le anime, infuriate, volevano uscire e
per loro faceva lo stesso.
Era terribile, ma come se ancora una cancellazione
mi avesse scottato e fosse stata:
l’unica traccia di una resistenza.

*

Stanka Hrastelj

Ponos

Všeč mi je, kako moj oče zakoraka
v jato zdravnikov z bolj belimi lasmi
od njihovih halj – kot gorilji α samec
s srebrnim hrbtom.

Mojega očeta zdravniki
zelo spoštujejo. Rečejo mu Gospod, nekaj
imamo za vas, diagnozo,
pravzaprav vam danes nudimo dve diagnozi:
paranoidno obliko shizofrenije
in kronični hepatitis B, gospod
.

Prav, reče moj oče,
vzamem obe, vzamem vse
diagnoze, ki jih imate danes na menuju.

Obrne se na peti, ima 42 stopinj vročine,
ustnice nabrekle od herpesa
in med ramena sklonjeno glavo,
v rokah nosi vrečko tablet v zelo
domišljenih barvah in oblikah.

Če bi hodil pokončno, bi bil smešen.
Moj oče pa ni komedijant. Vsi ga zelo
spoštujejo. Opazujem ga od daleč in se
ponosno nasmiham.

Orgoglio

Mi piace come mio padre s’incammina
verso il gruppo di medici, con i capelli più bianchi
dei loro camici – come un gorilla α maschio
con la schiena d’argento.

Hanno molto rispetto i medici
di mio padre. Gli dicono: Signore, abbiamo
qualcosa per lei, una diagnosi,
a dire il vero oggi le offriamo due diagnosi:
una forma paranoica di schizofrenia
e un’epatite cronica B, signore.

Bene, dice mio padre.
prendo tutte e due, prendo tutte
le diagnosi che oggi avete nel menù.

Si volta sui tacchi, ha la febbre a 42,
le labbra gonfie di herpes
e tra le spalle la testa curva,
nelle mani un sacchetto di compresse dai colori
e dalle forme davvero fantasiose.

Se camminasse eretto, sarebbe ridicolo.
Ma mio padre non è un commediante. Tutti
gli portano rispetto. Lo guardo da lontano
e sorrido con orgoglio.

*

Jure Jakob

Dnevi

Dan, ko sem spoznal, da bodo vsi dnevi,
ki bodo minili brez tvoje kože in njenega vonja,
dnevi, ki se bodo začeli z vdorom juter,
gladkimi kot nož, ki se, naostren s spominom,
neizogibno prerine v meso,

je bil podoben dnevu, ko sem bral Josipa Ostija
in verjel, da obstaja nekaj, s čimer si je vredno
razrezati srce.

Zdaj, ko so ti dnevi tu, in ostajajo, čisti
in hladni kot nož, ki ga, potem ko ga
uporabim, v skladu s svojo najbolj notranjo prisilo
skrbno umijem, pa vidim, da vsem dnevom
v resnici kraljuje in se jim zviška nasmiha
z ničimer primerljivi dan,

ki ga je hotel pozabiti, a ni mogel, Jehuda Amihaj,
ko se je obrnil in po enournem strmenju
skozi odprto okno v bližnje morje, katerega valovi
so se brezbrižno dvigali in padali, sedel
za mizo in napisal pesem Pes po ljubezni.

Giorni

Il giorno in cui ho compreso che tutti i giorni
che verranno senza la tua pelle e il suo profumo,
i giorni che inizieranno con l’irruzione dei mattini,
lisci come un coltello che, affilato dal ricordo,
penetra inevitabilmente nella carne,

era simile al giorno in cui lessi Josip Osti
credendo che esistesse qualcosa per cui vale la pena
squartarsi il cuore.

Adesso che quei giorni sono qui, e rimangono, puliti
e freddi come il coltello che, appena
usato, in sintonia con la mia costrizione più interiore,
lavo con cura, e vedo che su tutti i giorni
in realtà impera e dall’alto sorride loro
un giorno non paragonabile ad altri,

che ha voluto dimenticare, ma senza poterlo fare, Jehuda Amihaj,
quando si è voltato e dopo aver fissato per un’ora
attraverso la finestra aperta il mare antistante, le cui onde
indifferenti si levavano e ricadevano, si è seduto
ad un tavolo ed ha scritto la poesia Un cane dopo l’amore.

*

Miklavž Komelj

Dar

Ničesar nisem prinesel,
kar bi bilo podobno listu,
razvitemu iz brsta,
samo neznano stvar,
ki je dolgo razpadala v morju,
obrasla z neznanimi bitji.
Ki je bila prej človeška.
Popolnoma jo je sprejelo morje.
Popolnoma jo sprejmi.
Tako jo primi, da ne razpade.
Spusti jo, prosim, nazaj
na dno,
da bitja na njej ne umrejo.

Dono

Mai portai nulla
che fosse simile a una foglia
sviluppatasi da un germoglio,
solo qualcosa di oscuro
che a lungo si è decomposto nel mare,
ricoperto da esseri oscuri.
Qualcosa che un tempo fu umano.
L’accettò completamente, il mare.
Accettalo così anche tu.
Afferralo così, che non si dissolva.
Lascialo, ti scongiuro, che torni
al fondo,
perché gli esseri su di lui non muoiano.

*

Gregor Podlogar

Dvajseti avgust

Danes je tihi ponedeljek.
Stebri megle potujejo z ljudmi slabe volje.
Stene pisarn z njimi dihajo isti zrak,
ista občutja, mislijo iste misli.

Danes sem z vsemi stvarmi kot otrok.
Še vedno pišem s svinčnikom,
še vedno divjam s kolesom,
da bi za hip ubežal življenju.

Danes razumem, da se je stoletje zaprlo
kot pokrov kanalizacije. Novice so prazne.
Ljudje niso pametnejši. Politika ne bo umrla.
Za nami ne bo ostalo ničesar, razen blebetanja.

Danes so delavci spet razkopali cesto.
Zdi se, da iščejo zlato. Velika votlina,
ki so jo izdolbli v gramoz, je podobna
vhodu v jamo iz kamene dobe. Kakšno veselje.

Venti di agosto

Oggi è un lunedì di silenzi.
Colonne nebbiose si muovono assieme alla gente maldisposta.
Le pareti degli uffici respirano con loro la stessa aria,
le stesse sensazioni, pensano gli stessi pensieri.

Oggi con tutte le cose sono come un bambino.
Scrivo ancora con la matita,
giro a scavezzacollo con la bicicletta
per poter evadere un attimo dalla vita.

Oggi capisco che il secolo si è chiuso
come il coperchio di una canalizzazione. Le notizie sono vuote.
La gente non è diventata più saggia. La politica non morirà.
Dopo di noi nulla, tranne un chiacchiericcìo.

Oggi gli operai hanno di nuovo scavato la strada.
Come cercassero l‘oro. Quella grande cavità
scavata nel ciottolato sembra l’entrata
di una caverna dell’Età della pietra. Che felicità.

*

Lucija Stupica

Žrtvovanje

Našla sem drevo.
V suhi pokrajini ptičev.
Na kamniti obali brez odtisov.
Posušeno in razrvano od vetra,
od pokrajine brez zavetja.
Obrušeno deblo in v gnezdo spletene veje,
ki sestavljajo stopnice v svoj objem.
Ne vem, kaj počnem tu, a je dobro.
Zabava se odvija nekje daleč.
Tarkovski je zažgal zadnji kader
in nobena kamera ni delovala,
to ni bilo zabavno in naslednji koraki
so se identificirali z naslovom filma.
Drevo je zalival deček in verjel v to
dovolj močno, da bo spoznal boga.

Sacrificio

Ho trovato un albero.
Nell’arido paesaggio d’uccelli.
In una spiaggia di sassi senza impronte.
Asciugato e dissestato dal vento,
dal paesaggio privo di riparo.
Il tronco levigato e in un nido i rami intrecciati
a comporre gli scalini nel suo abbraccio.
Non so cosa ci faccio qui, ma sto bene.
Altrove, lontano, si staranno divertendo.
Tarkovski bruciò l’ultima inquadratura
e nessuna cinepresa che funzionasse,
non c’era divertimento in questo ed i passi seguenti
si identificarono con il titolo del film.
L’albero l’ha innaffiato il ragazzo, così convinto
di ciò, che conoscerà dio.

***

12 pensieri riguardo “Loro tornano la sera”

  1. Ancora una volta ci tengo a sottolineare il ruolo preziosissimo di Michele Obit nel mettere in contatto la letteratura italiana e quella slovena. Un personaggio tanto appartato quanto insostituibile.

    Francesco t.

  2. La poesia slovena annovera un fuoriclasse misconosciuto del verso come Kosovel ma questi giovini poeti promettono bene. Jure Jakob, di già, mantiene. Un saluto, Luca

  3. Caro Luca,
    la poesia slovena, è vero, ha già molti che mantengono, davvero molti. Alcuni erano già stati inclusi da Michele nelle sue precedenti antologie; fra quelli presenti in questa anche io trovo Jure Jakob eccellente, assieme a Stanka Hrastelj, di cui conosco però un numero maggiore di testi rispetto a quelli presentati qui. Colgo l’occasione per dire che Stanka sarà domenica pomeriggio a Gorizia, presentata da Michele.
    E mi scuso con fm per questa intrusione, se ho approfittato della tua ospitalità.

    Francesco t.

  4. Ringrazio chi passa di qui, e per gli apprezzamenti. Si fa quello che si può, diceva mia nonna, saggia.
    Chi desidera acquistare una copia può richiederla all’indirizzo mail info@ztt-est.it, purtroppo inutile sperare di incontrarla in una libreria al di fuori del contesto friulano-giuliano. Michele

  5. Ha un carattere, la poesia Slovena ( la poesia dell’est tutta, probabilmente), una sorta di dimensione speciale, nel modo così semplice di toccare passi nomi paesaggi, nel modo di schiuderli senza forzature, nell’autenticità, in una naturalità di ascolto e comunicazione che dona a questi testi un’unità una dolcezza una forza davvero esemplari.

    Ottimo il lavoro di ricerca e traduzione di Michele Obit!

    Complimenti vivissimi a tutti gli autori.

    Mi associo alla richiesta dell’acquisto.

    iole

  6. Il libro è veramente bello. Alcuni dei poeti antologizzati sono già presenti tra le pagine della Dimora e, grazie ai links, è possibile recuperare altri loro lavori.

    Dato il passo prevalentemente “narrativo” della nuova poesia slovena, la mia selezione è stata ampiamente condizionata dal dover adattare i testi alla formattazione del blog.

    Un grazie grande a “Miha”, come sempre, e al suo silenzioso e tenace lavoro di costruttore di ponti che uniscono mondi e culture. Con l’invito a dare un’occhiata attenta anche ai suoi testi. Che ne meritano sicuramente più di una…

    fm

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