Archivi categoria: georges didi-huberman

Indagini su un poliedro

Giuseppe Zuccarino

Indagini su un poliedro

È una strana scelta, da parte del filosofo e critico d’arte Georges Didi-Huberman, quella di dedicare un intero volume all’analisi di una specifica opera di Giacometti, a sua volta piuttosto insolita, Le Cube[1]. Si tratta di una scultura a prima vista astratta: non un cubo, a dispetto del titolo, bensì un poliedro a dodici facce (tredici, se si conta anche quella che poggia sul basamento). L’artista svizzero l’ha dapprima realizzata in gesso, nel 1934, e solo assai più tardi l’ha fatta fondere in bronzo. Le facce sono diseguali per forma e dimensioni, e presentano qualche irregolarità sulla superficie. È in causa dunque un prodotto sfuggente, «troppo poco rigoroso per essere “costruttivista”, troppo poco analitico per essere “cubista”, e troppo geometrico per raccontare una qualsiasi storia»[2]. Giocando sulla particolare struttura di quest’opera giacomettiana, Didi-Huberman suddivide il proprio libro in dodici capitoli (preceduti e seguiti da un prologo e un epilogo, entrambi intitolati Face enterrée); ogni capitolo, pertanto, corrisponde idealmente a una delle facce del Cube.

Continua a leggere Indagini su un poliedro

Danzare con le immagini

Giuseppe Zuccarino

Aperçues è uno dei libri più singolari di Georges Didi-Huberman. Raccoglie numerosi testi brevi (ognuno dei quali reca un proprio titolo e una precisa data di composizione) che riguardano immagini, non tanto analizzate per esteso quanto piuttosto «intraviste» (è questo il significato del titolo). Il medesimo concetto viene ribadito nell’epigrafe, tratta da un discorso del poeta tedesco Paul Celan: «E cosa sarebbero allora le immagini? Ciò che una volta, e ogni volta è l’unica volta, è soltanto qui e ora, viene intravisto e ha daessere percepito». Conviene parlare genericamente di immagini perché, nella sua vasta produzione saggistica, Didi-Huberman non si è interessato soltanto alle opere d’arte pittoriche o scultorie – antiche, moderne o contemporanee che siano –, ma ad ogni sorta di elementi visivi (stampe, manifesti, fotografie, video, film, ecc.). Egli potrebbe, come Baudelaire, definire le immagini «la mia grande, la mia unica, la mia primitiva passione», nel senso che le considera, oltre che come fonte di fascino, anche come oggetto di un’inesausta riflessione.

(Continua a leggere su Philosophy Kitchen)