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“Accoglimento” di Nanni Cagnone

Mi fa molto piacere annunciare l’imminente uscita di un’altra opera in poesia di Nanni Cagnone: si chiama Accoglimento e sarà pubblicata dalla Finestra Editrice di Marco Albertazzi  nella  Collana Contemporaneamente.

Unico vanto, aver resistito lungamente a me stesso. Nel disadorno ovunque e nel fulgore che raramente, ne l’affamato strepito del giorno e notturno scivolare, io con quel lui ch’ognor m’impiglia.
Ogniqualvolta mi trovo a citare parole sue, devo convenire che il me che parla dorme cammina non è colui che scrive, e scrivendo sfugge agli scricchiolii del palcoscenico quotidiano. Siamo in due, e incerti i legami: storico io, metastorico lui. Miei i fastidi le fatiche i malanni, suo l’arrovellar parole. Benché spesso inquieta o rissosa, tale residenza lo pone altrove, in salvo dalle cattive notizie, dalla ripetizione e dai minimi orrori a cui la normalità non può sfuggire. Non so pensare in quel suo modo estraneo. Ha forma diversa la sua necessità.
Non sto alludendo a una scissione dell’Io, né all’esistenza d’un sosia, spettro o alterego che sia ispirato o eletto. Sto dicendo che la prima persona, quella che non scrive, deve scomparire, e la storicità farsi da parte.
Dubito che lui sia un soggetto. In certo modo, sembra dipendere. In pratica, io posso parlare di lui, ma lui non può far altrettanto. Non sa cosa stia scrivendo, e ancor meno qual senso possa avere ciò che scrive. Secondo me, ogni volta non sa piú quel che credeva di sapere, e altro non impara. Quando fa ritorno, quando si ricongiunge, devo affrontare una perdita. La banalità di tale condizione sembra insuperabile.
Ero stato piú chiaro – o meno noioso – molti anni fa: «La poesia è un’opera estranea, cosa che il sonno insegnerebbe al risveglio».

“Liriche” di Marcabru

Quando rifletto su opere di livello molto alto e che, malgrado questo, rischiano di rimanere semisconosciute o di essere ignorate, mi si affaccia alla mente un’opera del Maestro Claudio Parmiggiani che si chiama TERRA e che consiste in una sfera d’argilla sotterrata in un luogo (ormai non identificabile) del Chiostro del Palazzo Saint Pierre a Lione: l’opera esiste, sta sepolta nel suolo, esiste nella memoria di chi l’ha vista e di chi ne tramanda il ricordo, esiste nelle fotografie che furono scattate in occasione dell’occultamento e in tal modo esistendo sfugge alla logica commerciale e mediatica che governa le arti a noi contemporanee, è testimonianza del pensiero creatore, ha l’essenza stessa del lievito che, occulto, agisce e alimenta, ma si sottrae alla volgarità di un sistema che ne farebbe un mero prodotto per il mercato. Continua a leggere “Liriche” di Marcabru

Il racconto di un’avventura (del tradurre)

Tutto è cominciato con una telefonata durante la quale Nanni Cagnone mi ha proposto di tradurre l’intera opera poetica di Stefan George (si pronuncia più o meno ghe-or-ghe). Lo confesso: non ho avuto il coraggio di dirgli di no, ma pensavo che George non fosse del tutto nelle mie corde – si trattava di un poeta del quale conoscevo un paio di testi e, dalle storie della letteratura tedesca dalle quali avevo studiato, risultava essere un artista fortemente estetizzante, centro di un circolo artistico (il cosiddetto “George-Kreis”) nel quale egli esercitava anche una sorta di funzione sacerdotale (di “sacerdote” della Poesia e della Bellezza, cioè); sapevo inoltre che Goebbels gli aveva offerto la presidenza di un’accademia delle arti che i nazisti intendevano fondare.
Ma, in realtà, di lui conoscevo poco.

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Mistica

J. Bousquet, Mistica

Joë Bousquet
Massimo Sannelli

Eco è veramente la dea del linguaggio poetico. Sull’opera che deve nascere, fa passare questo soffio lamentoso, desolato, in cui si eleva l’esigenza della vita fisica che si alimenta di uniformità e ripetizioni. Nel pensiero la vita vuole ritrovare la carne; ecco perché la poesia è il suo atto più alto: interiorizza la parola. E io pensavo a questo, è chiaro, quando ho scritto, in un quaderno di note che ho sotto gli occhi: «scrivere è trovare il cammino delle lacrime, scoprendo quello che si conosceva. Siamo separati dal mondo perché lo siamo da noi stessi; una ferita è proprio questa separazione, e se siamo feriti possiamo amare solo ferendo». Sono certo che esistano esseri di luce, e la loro mente annulla la distanza con la velocità. Tutta la realtà è il contenuto del loro pensiero. (Joë Bousquet)

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