Archivi categoria: cultura della pace

Figli della Nakba

Mohammed El-Kurd

(…)

Vivo di persone i cui letti
sono un cuscino e una coperta,
un posto sull’autobus,
una fermata del bus senza posti,
un asfalto duro e freddo,
un potenziale su cui dormivano o
di cui le hanno derubate. Vivo di persone
i cui sogni sono
sufficienti,
ma non egoisti abbastanza,
i cui sogni sono privi di aggettivi, rinviati,
tascabili
e famelici.
Gli han detto di trovare il vetro nella sabbia,
affamati sogni di generosità
e cemento
sputati fuori
senza zanne.

(Leggi l’intero articolo qui.)

***

Stanno bombardando la città. Me ne sto qui a rivedere le poesie. (Conversazioni con scrittori ucraini.)

Traduzione italiana di Pina Piccolo dell’originale inglese “They Are Bombing the City I Am Editing Poems”, di Ilya Kaminsky e Katie Farris, apparso il 28 giugno in Los Angeles Review of Books. Per gentile concessione degli autori.

Tratto da La macchina sognante


Ihor Pavlyuk, Lviv (Leopoli)

Nelle strade delle città e dei villaggi ucraini bombardati, i corpi dei bambini morti giacciono con i numeri di telefono indicati sulla schiena scritti dalle madri in modo che possano essere identificati in caso di morte delle madri… Una cosa del genere va oltre la letteratura. Questo orrore è già al di là di Stephen King. Perciò guardo sempre più dentro di me in questi tempi escatologici, parlo a me stesso, a Dio (cioè prego), ai miei antenati e discendenti (i miei figli e nipoti), perché in questi giorni mi muovo molto meno. Non mi sembra di essere cambiato molto, tranne che prego di più e dormo di meno. A Lviv, Leopoli, c’è ora un silenzio teso, lacerato dalle voci apocalittiche delle sirene che ci chiamano nei rifugi antiaerei.

Il mio motto di vita “Sono pronto a vivere per sempre, sono pronto a morire in qualsiasi momento” ha ora acquisito una manifestazione più concentrata perché la morte di una persona e dei suoi cari (che è molto più terribile) può essere portata in qualsiasi momento da un missile, e questo, misteriosamente, mi fa apprezzare ogni momento dell’esistenza terrena e pensare all’eterno.

Tuttavia, questa tensione permanente drena da ogni persona sia l’energia fisiologica che quella creativa sottile (poetica), quindi ora come ora non posso scrivere un romanzo o un dramma, persino questa intervista richiede un grosso sforzo … Eppure, sono particolarmente produttivo in questi giorni ansiosi per quanto riguarda il mio diario spirituale, di cui ho intenzione di pubblicare due volumi entro la fine dell’anno — se sopravvivo, se sopravviviamo…

Il tempo è ormai un metallo spaziale liquido, insanguinato: pesante e veloce allo stesso tempo, come un ippopotamo infuriato o un carro armato. I giorni scorrono, le settimane passano e i mesi volano. Hai colto il succo della cosa.

Come persona, prego sempre di più nel modo che mi ha insegnato mia nonna. Come cittadino, faccio volontariato.

Come poeta… Non vorrei essere poeta adesso perché è particolarmente doloroso. Preferirei diventare un soldato.

Ma non puoi cambiare la tua natura, nel bene e nel male… Si consiglia di preparare un kit di emergenza con l’essenziale in caso di evacuazione urgente durante un raid aereo. E mi sono reso conto che il mio avere più prezioso era la mia chiavetta USB con i manoscritti non ancora pubblicati.

Leggi tutto l’articolo su La macchina sognante


Pina Piccolo è una traduttrice, scrittrice e promotrice culturale che per la sua storia personale di emigrazioni e di lunghi periodi trascorsi in California e in Italia scrive sia in inglese che in italiano. Suoi lavori sono presenti in entrambe le lingue sia in riviste digitali che cartacee e in antologie. La sua raccolta di poesie “I canti dell’Interregno” è stata pubblicata nel 2018 da Lebeg. È direttrice della rivista digitale transnazionale The Dreaming Machine e una delle co-fondatrici e redattrici de La Macchina Sognante, per la quale è la cosiddetta macchinista–madre con funzioni di coordinamento. Il suo blog personale è Pina Piccolo’s blog.

Copertina: Michael Kvium, Cup3Tint3

Memoria dell’oggi: Gino Strada

Gino StradaQuando i ministri cominciano a non fare i ministri, ma vanno in giro a dire la qualunque, sempre più circondati da un alone di militarismo, la cosa preoccupa molto. E mi preoccupa l’assoluta mancanza di umanità. Non dovrebbe essere prendersi cura dei cittadini il lavoro di chi deve garantire la sicurezza? Mi pare invece sia un lavoro orientato a ignorare i cittadini e spingerli a puntare il dito contro chi sta più in basso. Non si punta mai il dito in alto: perché ci sono milioni di poveri in Italia, non si dice mai.

Da una conversazione di Gino Strada con Chiara Cruciati, pubblicata sul Manifesto del 14 maggio 2019. 

Fratelli migranti

Patrick Chamoiseau

«I poeti dichiarano che il razzismo, la xenofobia, l’omofobia, l’indifferenza nei confronti dell’Altro che viene che passa che soffre e che chiama, sono indecenze che nella storia degli uomini non hanno fatto che aprire la strada agli stermini, e che dunque non accogliere, anche se per valide ragioni, colui che viene che passa che soffre e che chiama è un atto criminale.»

Patrick Chamoiseau
Fratelli migranti – Contro la barbarie
Traduzione di Maurizia Balmelli e Silvia Mercurio
Torino, add Editore, 2018

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Benjamin Péret – Io non mangio di quel pane

peret-mangone-matisklo Benjamin Péret
Carmine Mangone

(… ) I testi di Je ne mange pas… sono di chiara ascendenza surrealista. Le invenzioni automatiche che li costellano sono infatti numerosissime e anche fin troppo evidenti per star qui a discuterne. La loro elaborazione parte però invariabilmente da eventi, istituzioni, personaggi famosi, ecc., scelti deliberatamente dall’autore. Péret seleziona con cura i suoi obiettivi e li riunisce non certo a caso; si pensi, ad es., allo sviluppo di composizioni come Il cardinale Mercier è morto, Epitaffio su un monumento ai caduti o Il 6 dicembre. Siamo in presenza di circostanze reali e che determinano gran parte degli elementi creativi, il che ci conduce ad una conclusione quasi ovvia: la raccolta Je ne mange pas… è formata da “scritti di circostanza” lampanti, indiscutibili, quantunque assai diversi rispetto alla poesia sociale o variamente impegnata del Novecento. Continua a leggere Benjamin Péret – Io non mangio di quel pane

Abolire la guerra

Gino Strada “Io sono un chirurgo. Ho visto i feriti (e i morti) di vari conflitti in Asia, Africa, Medio Oriente, America Latina e Europa. Ho operato migliaia di persone, ferite da proiettili, frammenti di bombe o missili.

A Quetta, la città pakistana vicina al confine afgano, ho incontrato per la prima volta le vittime delle mine antiuomo. Ho operato molti bambini feriti dalle cosiddette “mine giocattolo”, piccoli pappagalli verdi di plastica grandi come un pacchetto di sigarette. Sparse nei campi, queste armi aspettano solo che un bambino curioso le prenda e ci giochi per un po’, fino a quando esplodono: una o due mani perse, ustioni su petto, viso e occhi. Bambini senza braccia e ciechi. Conservo ancora un vivido ricordo di quelle vittime e l’aver visto tali atrocità mi ha cambiato la vita.

Mi è occorso del tempo per accettare l’idea che una “strategia di guerra” possa includere prassi come quella di inserire, tra gli obiettivi, i bambini e la mutilazione dei bambini del “paese nemico”. Armi progettate non per uccidere, ma per infliggere orribili sofferenze a bambini innocenti, ponendo a carico delle famiglie e della società un terribile peso. Ancora oggi quei bambini sono per me il simbolo vivente delle guerre contemporanee, una costante forma di terrorismo nei confronti dei civili.”

Leggi il testo integrale del discorso pronunciato da Gino Strada, fondatore di EMERGENCY, nel corso della cerimonia di consegna del Right Livelihood Award 2015, il “premio Nobel alternativo”

Slobodan

Miljenko Jergović

Al termine delle guerre balcaniche – e forse per una sorta di tardivo scrupolo di coscienza collettivo – sono state pubblicate in Europa numerose opere di autori di quell’area geografica. Al di là del fondamentale valore di testimonianza, ciò ha permesso di scoprire alcuni lavori di grandissimo valore, che proseguono il percorso di una tradizione antica e attingono, purtroppo, alla tensione emotiva che deriva da circostanze drammatiche. Tra questi autori Miljenko Jergović occupa un ruolo di primissimo piano: fin dalla prima edizione di Le Marlboro di Sarajevo (Quodlibet, 1995) si è affermato come una delle voci che meglio hanno saputo descrivere la tragedia bosniaca, al punto tale da spingere Paolo Rumiz a definirlo “il nuovo Andrić”.

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La morte di Tersite

Nevio Gàmbula

“Dopo anni di solo teatro, torno alla poesia, a quello che è il mio cruccio permanente, la mia protesta in versi. E ci torno passando da quella che è stata la mia partecipazione al progetto àkusma, nato tra il 1999 e il 2000 e che è sfociato in incontri, discussioni, un convegno e una pubblicazione. Come scriveva Giuliano Mesa nella presentazione, l’obiettivo di Àkusma «coincide col suo stesso esistere come occasione di confronto, di dialogo fra alcuni autori che hanno accolto l’invito a reinterrogare insieme le ragioni e modi del loro scrivere e del loro agire. E’ la proiezione – in contatti, incontri, letture, e pagine stampate – del desiderio e della volonta’ di ricominciare dalle opere, dalle poesie, la cui conoscenza diretta e’ stata troppo spesso sacrificata al culto delle poetiche aggreganti, dei precetti teorici, al pregiudicante (e pre-testuale) incasellamento di un autore all’interno di una tendenza o contro di essa, nonche’ alla sua collocazione nel risibile e ultracompetitivo “mercato dei versi”». Continua a leggere La morte di Tersite

La Versione di Giuseppe

La Versione di Giuseppe – Poeti per don Tonino Bello
(Edizioni Accademia di Terra d’Otranto – Neobar, 2011)

di Cristina Bove, Doris Emilia Bragagnini, Simonetta Bumbi, Marilena Cataldini, Anna Costalonga, Fernando Della Posta, Margherita Ealla, Annamaria Ferramosca, Fernanda Ferraresso, Giancarlo Locarno, Abele Longo, Domenica Luise, Malos Mannaja, Nina Maroccolo, Vincenzo Mastropirro, Antonella Montagna, Stefano Giorgio Ricci, Antonio Sabino, Iole Toini, Pasquale Vitagliano, Carmine Vitale

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